Castelfranco-Emilia - Guida Turistica

CERCA ALBERGHI
Alberghi Castelfranco Emilia
Check-in
Check-out
Altra destinazione


.: DA VEDERE
Chiesa di S. Maria Chiesa di S. Maria
La più antica chiesa di Castelfranco E. è Santa Maria: il primo impianto sembra essere stato costruito insieme al castello. Era assoggettata a S. Giovanni in Persiceto, al cui arciprete spettò la nomina del parroco della chiesa di Santa Maria. Solo nel 1578 la chiesa fu elevata al grado di arcipretura e di vicariato con giurisdizione su varie parrocchie (S. Giacomo di Castelfranco, S. Giacomo di Piumazzo, S. Bartolomeo di Manzolino, S. Prospero di Riolo, S. Nicolò di Calcara. All’inizio del 1600 l’edificio fu ampliato e completato dal campanile e nel 1626 l’arciprete Don Masini commissionò a Guido Reni un dipinto raffigurante l’Assunta, collocato poi nell’abside sopra l’altare maggiore. La chiesa ha subito, nel corso degli anni, alcuni grossi interventi di restauro: nel 1704 la chiesa era strutturata in un’unica navata e assunse la struttura in tre navate alla fine del 1800 quando, nella parte verso la via Emilia, fu sacrificato un portico per consentirne un ampliamento; nel 1914 si ebbe il restauro della facciata, secondo il progetto dell’architetto Collamarini di Bologna; nel 1921 il restauro del Campanile; nel 1924 il rifacimento del pavimento. 
Molte sono le opere di notevole pregio che si possono ammirare all’interno della chiesa, oltre al citato dipinto del Reni, fra cui la statua dedicata al protettore della città di Castelfranco E., San Donnino; il dipinto raffigurante S. Barbara donata dai Bombardieri del Forte Urbano nel 1633 ed attribuito al Guercino; un’opera del pittore Angelo Gessi detto il Nobile, della prima metà del 1600 che ritrae un bambino con angelo custode; un quadro di Prospero Fontana del XVI secolo raffigurante la Beata Vergine attorniata da S. Elena, dall’Imperatore Costantino ancora bambino, da S. Pietro, S. Francesco, S. Donnino.
Villa Sorra è una delle più importanti ville storiche del territorio modenese. Nel suo parco troviamo quello che è considerato l’esempio più rappresentativo di giardino “romantico” dell’Ottocento estense ed è da molti ritenuto il più importante tra i giardini informali presenti in Emilia Romagna. Se i singoli elementi che costituiscono il complesso (villa, edifici rustici, serra, parco storico, rovine romantiche, vie d’acqua, giardino campagna) hanno tutti un rilievo non solo locale, la coesistenza degli stessi la coesistenza degli stessi dà luogo ad un campione pressoché unico di paesaggio agrario preindustriale, di inestimabile valore storico, culturale e ambientale. La tenuta, che conserva ancora oggi il Chiesa di S. Giacomo nome dei Sorra (nobile famiglia che edificò il complesso e ne ebbe la proprietà per oltre due secoli), è dal 1972 di proprietà dei Comuni di Castelfranco Emilia, Modena, Nonantola e San Cesario sul Panaro.
Chiesa di S. Giacomo
Collocata a sud della via Emilia, la chiesa di San Giacomo costituiva nell’antichità, la seconda parrocchia di Castelfranco. Non è certa la data di costruzione, anche se pare esistente già dalla fondazione del borgo franco; certa è invece dal 1578 la sua dipendenza dalla Chiesa di S. Maria. Già alla fine del 1200 Castelfranco risultava diviso in due parrocchie (S. Maria a nord della via Emilia e S. Giacomo a sud), ognuna delle quali con un proprio cimitero. Solo nel 1923 l’arcivescovo di Bologna decise di riunire S. Maria e S. Giacomo in una sola parrocchia, quella di S. Maria. La chiesa di S. Giacomo è stata ingrandita e restaurata più volte; da ricordare l’importante intervento di restauro della facciata del 1910 a spese del Monsignor Vincenzo Tarozzi. Nel secondo dopoguerra, poi, a causa di notevoli restauri, la chiesa restò chiusa fino al 1971. Composta da una sola navata la chiesa offre, tra le opere collocate sugli altari laterali, la Statua di S. Nicola dello scultore Scandellari e il dipinto raffigurante S. Tommaso da Villanova e altri santi della pittrice Sirani. Il Campanile di stile romanico, a pianta quadrata, conserva inalterata la struttura originale.
Mulino Forlani
Secondo la tradizione il Mulino Forlani è stato costruito nel 1234, qualche anno dopo la fondazione di Castelfranco. Mancando ai cittadini di Castelfranco l’acqua per provvedere alla macina del grano, nello stesso anno per volere del Comune di Bologna fu ordinata l’escavazione del canale per condurre l’acqua necessaria a far funzionare il mulino: esso fu chiamato “canale del mulino” ed era alimentato dai fontanili di S. Donnino/Prato dei Monti. Del mulino, che mantiene la localizzazione attuale, sono varie le testimonianze in mappe e disegni dell’Archivio di Stato di Modena e Bologna. Nei catasti del settecento e ottocento il mulino presenta la configurazione attuale con l’eccezione però del lato ovest: vi era un portico attualmente chiuso. 
Nel 1500 il mulino risultava di proprietà Pini, nelle carte del 1600 si trova spesso citato come “Molino Mafari” e nel 1749 risulta, da un documento di archivio, di proprietà della Contessa Moreni. Passa poi alla famiglia Pallotti, alla famiglia Gaiani e nel 1919, fino alla fine dell’attività, ad Aldo Forlani. Scomparso Aldo Forlani, il mulino fu condotto dalla vedova Agnese e dalle figlie fino alla chiusura del 1960.
L’interno del mulino ad acqua risulta essere ancora ben conservato: intatte sono le macine in pietra, le strutture in legno, gli utensili e gli strumenti da lavoro. Caratteristica importante dell’edificio, per il valore storico ed artistico rappresentato, è la presenza, nelle stanze superiori, di affreschi alle pareti e ai soffitti del decoratore e scultore Silverio Montaguti (epoca Liberty).
Edificio Cuccoli
Gli edifici Cuccoli stanno nell’isolata delimitato dalla via Emilia, via Zanolini, via Bertelli e via Ripa superiore, denominato “ex fornace Cuccoli”, quindi nel pieno dello sviluppo del Castrum Francum. L’impianto originario è riferibile al Medioevo (inizio del XIII secolo). All’interno dell’isolato è presente un edificio duecentesco a corte, di cui resta ora al suo interno una colonna lignea con basamento in cotto e pietra selenite che richiama la casa a corte delle costruzioni bolognesi del periodo comunale.
Mulino Forlani  Alcuni studiosi datano al cinquecento l’ampliamento dell’edificio e all’ottocento altri ampliamenti edilizi dell’isolato: in quest’ultimo periodo infatti si assiste allo sviluppo sostanziale con la costruzione di una casa padronale, di altre abitazioni e di una fabbrica di ceramica. La fabbrica, costruita più precisamente verso la fine del settecento, dalla famiglia Cuccoli, nel XIX secolo diviene una delle più importanti della zona.  La fornace rimane attiva fino agli inizi del 1900. Nel XIX vengono aggiunti, agli edifici preesistenti, locali di servizio e stalle. Nel 1849 la casa padronale venne ristrutturata ed ornata con decorazioni nei soffitti interni, oggi in cattivo stato di conservazione. Ancora nel 1949 alcuni edifici dell’isolato, adibiti a residenza, furono ristrutturati. Di quest’ultimo intervento rimangono le decorazioni a tempera, dipinte in alcune sale. L’edificio conserva parte delle strutture originarie, tra cui i forni e le strutture per l’essicazione. Oggi l’intero isolato è stato ristrutturato a scopo prevalentemente abitativo.
Palazzo Piella L’antica casa/palazzo Piella, sulla via Emilia, posta accanto alla chiesa di S. Maria, è il luogo ove, come narra tradizione, soggiornò Carlo V nel 1530, durante il viaggio che lo portò a Bologna, sede della cerimonia che l’avrebbe visto incoronato Re d’Italia e del Sacro Romano Impero. Il Palazzo fu di proprietà della famiglia bolognese Piella. Secondo alcuni l’edificio, che aveva presumibilmente forma diversa (a corte) a che mancava dall’attuale portico, venne rifatto nel 1600: sarebbero stati i Piella i fautori dell’ampliamento e della ristrutturazione dell’edificio originario, portando il palazzo alla consistenza che conserva attualmente. L’edificio fu messo in vendita nel 1806, anno in cui l’edificio fu acquistato da Monsignor Sammarchi e da questi lasciato in eredità ai parroci succedutigli. Data la posizione centrale sulla via Emilia e per la tipologia delle case confinanti si può presupporre che l’edificio  abbia avuto nobili antecedenti nell’edilizia popolare del borgo franco ascrivibile all’impianto medievale: pur non esistendo documenti specifici, ma osservando una carta di Castelfranco del XVI secolo, si nota che la pianta di palazzo Piella presenta l’orto retrostante. La facciata verso la via Emilia presenta archi a sesto ribassato realizzati in mattoni. Sul retro si può notare la planimetria dell’edificio a forma di U, con due corpi laterali avanzati. Sempre sul retro, esisteva un giardino all’italiana, del quale è testimonianza una riproduzione in una mappa catastale dell’ottocento. Di tale giardino resta solo l’arco di ingresso al muro di cinta verso nord.
Attualmente l’edificio è sede del Museo Civico Archeologico e della Parrocchia.
Il Forte Urbano venne eretto nel 1628 nell’attuale territorio di Castelfranco E., sulla via Emilia poco fuori dalla cinta muraria verso Modena, per voler di Papa Urbano VIII della famiglia romana Barberini. Poco prima era giunto a Castelfranco Giulio Buratti che aveva redatto il progetto, insieme ai colleghi Mola e Costa. Buratti era considerato l’esperto di costruzioni fortificate e di disegno architettonico dello Stato Pontificio. 
La grande fortezza venne terminata nel 1634, come attesta un documento ufficiale redatto dallo stesso Buratti, ma la tradizione invalsa finora vuole che siano trascorsi più di venticinque anni per la conclusione dei lavori.  In effetti, dalle ricerche condotte si evince che sono numerosi i documenti che riguardano gli appalti e i contratti stipulati fra i soprintendenti e i costruttori appaltatori, segno delle difficoltà sia di reclutamento degli uomini, sia di reperimento dei mezzi di trasporto e degli strumenti necessari al lavoro. 
Per quanto attiene alla descrizione del Forte Urbano siamo facilitati nella lettura monumentale da alcune piante e dalla cartografia antica della fine del 700. Il corpo centrale è costituito da un recinto quadrato con quattro baluardi dedicati a San Paolo, a San Pietro, a Santa Maria e a San Petronio. Sui quattro baluardi vi erano torri e costruzioni in cui risiedevano gli alloggi dei militari, all’interno dei quali stavano anche cucine, cantine e spazi di servizio. All’esterno di Edificio Cuccoli questo corpo quadrato vi era una cintura a forma di stella in cui erano ricavati fossati, terrapieni e contrade. Nella fortezza erano presenti granai, forni, macellerie, un ospedale, una chiesetta e un cimitero, oltrechè l’armeria. A partire dalla seconda metà del Settecento inizia rapidamente il declino del Forte Urbano fra calamità naturali, cattiva organizzazione interna, nonché eventi bellici: la fortezza viene vieppiù demolita e depauperata anche nel suo aspetto architettonico fino a quando, nel 1944 venne bombardata. Ripristinato in età moderna, il forte è adibito ora a casa di lavoro.
Palazzo Cappi
Il palazzo Cappi venne costruito nella seconda metà del Settecento dalla famiglia Cappi. Esso occupa un intero isolato avente il fronte principale sulla via Emilia con un portico coperto da volte a vela. Il linguaggio artistico del portico è tardo barocco: composto da undici campate ad arco ribassato su pilastri dorici; sopra vi corre un ordine di finestre rettangolari con cornice alternate a porte finestre. Il cornicione del palazzo è “a guscio” di tradizione bolognese con oculi esagonali aperti nel sottotetto. 
In origine palazzo Cappi aveva due ingressi simmetrici sulla via Emilia nei quali vi erano scale che portavano al piano nobile conservano il pavimento in battuto alla veneziana e quelli della parte retrostante in cotto. Ancora oggi si nota come la struttura settecentesca abbia inglobato le preesistenze medievali sia nella planimetria, sia nell’alzato (il fronte conserva parte delle murature in ciottoli fluviali ed è stato interpretato il frutto di un riallineamento di preesistenze). Si segnala anche la presenza di una cappella di famiglia all’interno dell’isolato con stucchi a rilievo di gusto tardo barocco; la sua copertura piana è stata fortemente rimaneggiata. Ora il palazzo è in corso di restauro ad uso abitativo.
Castello di Panzano
Nel XVI secolo la nobile e potente famiglia Malvasia di Bologna divenne proprietaria di molti terreni a Panzano. Qui i Malvasia fecero riedificare, su precedenti insediamenti medievali, il loro castello (Castello Malvasia). Esso è ancor oggi certamente uno dei monumenti più imponenti e meglio conservati del territorio comunale e che di certo merita una visita.
La più antica notizia dell’inizio dell’edificazione del castello risale al 1599, connessa a Cornelio Malvasia, che nutriva una grande passione per l’astronomia: per questo motivo il castello viene arricchito di una torre che divenne sede di un osservatorio astronomico. 
Alla morte di Cornelio il castello, non avendo questi diretta discendenza, fu ereditato dal ramo secondario della famiglia Malvasia. Fu Cesare Malvasia ad apportare al castello grandi migliorie: riedificò completamente la facciata di ingresso a sud e sopraelevò l’ala ovest della corte interna, ricavando nuovi appartamenti padronali. A Cesare Malvasia successe il figlio e dopo di lui i legittimi eredi, restando quindi il castello di proprietà della famiglia fino al 1867.
La struttura del castello di Panzano ricorda, con la sua imperiosa torre centrale sulla facciata e con l’elegante cortile d’onore, le “delizie estensi” del territorio ferrarese, ma disponendo anche di ampie strutture di servizio per l’attività agricola, i proprietari dimostrarono di mantener saldo il controllo sugli interessi economici del territorio da loro gestito. Esternamente, il castello è caratterizzato da due torri merlate, una del XVII secolo, l’altra del 1735 rifatta dal Conte Cesare Malvasia.  Le torri originariamente erano tre, ma quella astronomica crollò all’inizio di questo secolo; in passato esse erano arricchite da affreschi di cui, ancora oggi sono evidenti le tracce; fra di esse è riconoscibile un grande stemma del casato Malvasia.
Palazzo Cappi Tra le varie cose che si possono ammirare all’interno del castello vi sono gli splendidi apparati pittorico-decorativi: al piano nobile, nel salone campeggia un’importante pittura di Gian Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi che risale al XVII secolo. Interessante la cappellina completamente decorata dai pittori Lorenzo Pisanelli e Scipione Bagnacavallo, attivi dal 1609 al 1612: in essa sono riconoscibili i ritratti dei più illustri esponenti della famiglia Malvasia. 
L’attuale proprietario del castello conserva, nello spazio destinato un tempo ad ambienti di servizio, una delle collezioni di auto d’epoca più importanti d’Italia.
Accanto al portone principale, balza all’occhio il meccanismo di funzionamento del vecchi mulino.
Il mulino Malvasia, unitamente al mulino della Pieve, è tra i più antichi del territorio. Pare infatti che entrambi siano già citati all’epoca della donazione del canale Torbido fatta dal Re longobardo Astolfo al cognato Anselmo (anno 752): il percorso del Torbido coincideva all’incirca con quello dell’antico Zena/Gena.
Dal 1496 quando la famiglia Malvasia si stabilisce a Panzano, inizia l’attività del mulino e della sua notevole produzione. Nel 1593, Monsignor Innocenzo Malvasia, procede allo spostamento del mulino, che originariamente si trovava all’interno del castello nel secondo cortile, nella posizione che il mulino occupa attualmente, previa modifica del corso del canale.
La proprietà ha proceduto ad una accurata ristrutturazione di tutto il complesso e consente la visita alle stanza in cui sono conservate le macine ancora in buon stato.
Museo Civico Archeologico
Il territorio comunale di Castelfranco Emilia è ricco di testimonianze archeologiche, parte delle quali sono conservate in altri Musei regionali.
A prescindere dalle scoperte avvenute alla fine del secolo scorso, è a partire dagli anni ’70 che il materiale archeologico, affiorato piuttosto che nel centro urbano, nelle rigogliose campagne circostanti, è stato raccolto da Anton Celeste Simonini, pittore appassionato di antichità e di antiquariato che ha condotto numerose raccolte di superficie fino alla fine degli anni ’80.
Questi rinvenimenti, riconducibili esclusivamente a scoperte avvenute in seguito alla conduzione di lavori agricoli, costituirono il primo nucleo archeologico della Raccolta Civica, di cui, per lungo tempo, lo stesso Simonini fu responsabile, insieme ad altri collaboratori castelfranchesi, quali Adolfo Bicocche e Arnaldo Dallolio. 
Castello di Panzano Con queste prime acquisizioni si portarono a termine alcune mostre didattiche in cui venivano illustrate le origini del paese attraverso i reperti archeologici, sistemati temporaneamente in alcune vetrinette e le arti e i mestieri del mondo “contadino”, questi ultimi oggi in esposizione a Villa Sorra. A dar lustro alle antichità fu poi Valerio Manfredi che scrisse diversi contributi scientifici sui monumenti castelfranchesi, con particolare riferimento alle epigrafi sepolcrali latine.
Non essendo allora disponibile ed attrezzata una sede espositiva stabile, anche i materiali archeologici venivano conservati nelle “stanze” comunali insieme ad altri beni culturali ed artistici (libri, cartoline, quadri, oggetti d’antiquariato, di modernariato e collezioni eterogenee).
Nell’attesa dell’apertura della Raccolta Civica in una sede stabile, in accordo con le istituzioni, venne dapprima allestito uno spazio espositivo nei pressi dell’ex oratorio di Santa Croce (oggi nuova sede della Rolo Banca 1473). Successivamente la Raccolta Civica venne trasferita nei locali posti al di sopra dell’odierno cinematografo in via Don Roncagli: in questi locali vennero tenute altre mostre temporanee d’arte.
Alla fine degli anni ’80 i tempi erano divenuti maturi per definire il programma e le sedi delle attività artistiche, anche per l’accrescimento dei beni, in specifico archeologici: l’Amministrazione comunale, nell’intento di catalogare e conservare distintamente i beni comunali, promosse progetti di inventariazione e di sistemazione sia dei materiali archeologici che di quelli artistici, al fine di creare i presupposti per la costituzione ormai prossima del Museo Civico Archeologico e della Pinacoteca.
L’incremento ulteriore dei materiali archeologici si deve principalmente ai recenti scavi condotti in via Peschiera (1986), nell’area del Galoppatoio (1988-92), del Forte Urbano (1991-96), di Piazza A. Moro (1993) e delle aree Cuccoli ed Ex Fiammiferi (1996), i cui materiali, insieme ad altri, prima conservati altrove, hanno costituito le basi del progetto per il Museo Civico Archeologico in Palazzo Piella, dotato di apparati espositivi, scientifici e didattici.